La storia narrata in maniera vivace e accattivante in queste pagine da Giovanni A. Cerutti ha come protagonista la vicenda personale di Arpàd Weisz, un ungherese  di origini ebraiche, vittima (insieme con la sua intera famiglia) della ferocia nazista. Venuto in Italia alla fine degli anni venti del secolo scorso (come altri suoi connazionali) Weisz ha fatto una rapida e brillante carriera, divenendo in breve tempo uno dei più importanti e dei più stimati allenatori del calcio degli anni trenta non solo a livello nazionale.

Dopo un primo ingaggio da parte dell’Ambrosiana, che ha portato alla vittoria del campionato del 1929-30 a soli 34 anni – egli rimane nella storia del calcio italiano il più giovane allenatore ad aver vinto il campionato di seria A – e una breve parentesi di sei mesi al Novara in serie B,  nel 1935 venne chiamato a sostituire Lajos Kovacs alla guida della squadra del  Bologna con la quale conquistò due scudetti e la vittoria al Trofeo dell’Esposizione di Parigi. Ad accrescerne la fama ha contribuito inoltre in misura determinante l’aver introdotto nel calcio una serie di innovazioni tra le quali l’adozione del sistema di gioco inglese ideato dal manager dell’Arsenal  Herbert Chapman, che prevedeva l’arretramento del centromediano sulla linea dei terzini (interessante è, a tale proposito, il manuale da lui pubblicato dal titolo Il giuoco del calcio con la prefazione di Vittorio Pozzo).

Dopo la promulgazione del decreto Provvedimenti per la difesa della razza italiana  del 17 novembre 1938 n. 1728  – decreto che sconvolse la vita anche di due altri allenatori ungheresi di origini ebraiche Ernò Erbstein e Janò Konrad – Arpàd Weisz fu costretto il 26 ottobre 1938 a lasciare la guida del Bologna e ad abbandonare con la famiglia l’Italia il 10 gennaio 1939 alla volta di Parigi per approdare successivamente in Olanda, dove rimase come allenatore del Dordrecht fino al 2 agosto del 1942, quando venne arrestato (sempre con la sua famiglia) dalla Gestapo e trasferito nel campo di Westerbork e poi ad Auschwitz. Da quel momento si perdono definitivamente le tracce: la sua morte è datata  il 31 gennaio 1944.

Fin qui il racconto della vicenda. Ma Cerutti non si limita a fornire il resoconto degli eventi drammatici attraversati da Weisz (e dalla sua famiglia), per quanto caratterizzati da tratti non comuni che meritano di essere approfonditi. Egli inserisce questi eventi nel contesto dell’esperienza tragica del fascismo e del nazismo, ricostruendone le fasi più significative e avviando una penetrante riflessione sull’eredità della Shoah  e sull’importanza della memoria.

Diverse sono le tematiche che vengono, a tale proposito, analizzate con lucidità e rigore. Due in particolare meritano di essere ricordate per la loro originalità. La prima è costituita dal significato rivestito dal calcio negli Stati totalitari. Cerutti conduce al riguardo un’indagine preziosa, che evidenzia come esso veniva utilizzato, per la sua enorme popolarità, come strumento di costruzione del consenso: le vittorie in campo internazionale si trasformavano in un’immagine vincente del regime. La seconda tematica riguarda la definizione dell’identità nazionale, dove un ruolo determinante rivestivano, da un lato, l’appartenenza religiosa – la distinzione tra ariani e non ariani avveniva nell’ambito del nazismo secondo questo criterio – che assumeva i connotati di una caratteristica genetica; e, dall’altro, la dimensione etnica con l’introduzione del concetto di “razza” rivestito di pretese di scientificità (il nazionalismo totalitario italiano difendeva così la purezza razziale).

Ma Cerutti non si limita a guardare al passato. La sua preoccupazione è che quanto è avvenuto non si ripeta. Per questo dedica uno spazio piuttosto ampio nella parte finale del libro alla “memoria”, al suo significato e alle modalità della sua trasmissione e attualizzazione. Egli non manca anzitutto di sottolineare come per lunghi anni la strategia più diffusa (anche nell’ambito di una parte consistente della cultura di sinistra) è stata di una vera e propria rimozione degli eventi di quel momento storico; rimozione motivata dalla paura di doversi confrontare con gli aspetti meno rassicuranti del passato. Ma offre soprattutto interessanti spunti di riflessione per ricuperarne il valore e ricostruirne in modo vivo il messaggio etico e civile.

Un libro, dunque, che unisce alla ricostruzione storica una lezione di vita che non si può (e non si deve) lasciar cadere nell’oblio.

GIANNINO PIANA

GIOVANNI  A.  CERUTTI, L’allenatore ad Auschwitz. Arpàd Weisz: dai campi di calcio italiani al lager, Interlinea, Novara 2020, pp. 105, E, 12.