Un libro da leggere
A cura della nostra Biblioteca, vi proponiamo una selezione di libri con i quali affrontare o approfondire alcuni aspetti della storia del novecento italiano ed europeo.
Non solo le tematiche classiche collegate alle vicende del secondo conflitto mondiale e della Resistenza nel nostro territorio e nel resto d’Italia, ma anche punti di vista su questioni importanti per il nostro tempo: dalle migrazioni ai temi sociali, alla politica, con specifici consigli di lettura per i giovani con libri appositamente selezionati.
Tutti i volumi presentati sono disponibili nella nostra Biblioteca e liberi al prestito secondo il regolamento. Alcune recensioni sono state fatte dai nostri giovani lettori.
Kennedy, Dallas 1963, di Giovanni A. Cerutti, Interlinea 2023.
La notizia dell’assassinio di John Fitzgerald Kennedy si abbatté inattesa sul mondo intero, provocando sconcerto e inquietudine. La figura del giovane presidente alla guida della potenza egemone sembrava prefigurare un mondo che si lasciava per sempre alle spalle povertà e violenza. Ma il 22 novembre 1963 a Dallas tutto parve spezzarsi. Per la prima volta sono raccolti gli articoli delle migliori firme del giornalismo italiano usciti nei giorni successivi la morte del presidente per restituire quello sconcerto e quell’inquietudine. Attraverso le riflessioni, tra gli altri, di Enzo Biagi, Luigi Salvatorelli, Furio Colombo, Alberto Ronchey, Paolo Monelli ed Eugenio Scalfari si delineano i caratteri di una società in piena trasformazione, che sull’onda del recente impetuoso sviluppo economico vedeva nel modello dell’America kennediana una prospettiva e un sicuro punto di riferimento.
Testi di Enzo Biagi, Mauro Calamandrei, Furio Colombo, Giulio De Benedetti, Aldo Garosci, John F. Kennedy, Raniero La Valle, Giuseppe Lazzati, Paolo Monelli, Piero Ottone, Italo Pietra, Alberto Ronchey, Alfio Russo, Luigi Salvatorelli, Eugenio Scalfari, Ugo Stille, Bernardo Valli
Adriatico amarissimo, di Raoul Pupo, Laterza 2021.
Le terre dell’Adriatico orientale sono state uno dei laboratori della violenza politica del ʼ900: scontri di piazza, incendi, ribellioni militari come quella di D’Annunzio, squadrismo, conati rivoluzionari, stato di polizia, persecuzione delle minoranze, terrorismo, condanne del tribunale speciale fascista, pogrom antiebraici, lotta partigiana, guerra ai civili, stragi, deportazioni, fabbriche della morte come la Risiera di San Sabba, foibe, sradicamento di intere comunità nazionali. Queste esplosioni di violenza sono state spesso studiate con un’ottica parziale, e quasi sempre all’interno di una storia nazionale ben definita – prevalentemente quella italiana o quella jugoslava (slovena e croata) –, scelta questa che non può che originare incomprensioni e deformazioni interpretative. Infatti, è solo applicando contemporaneamente punti di vista diversi che si può sperare di comprendere le dinamiche di un territorio plurale come quello dell’Adriatico orientale, che nel corso del ʼ900 oscillò fra diverse appartenenze statuali. Inoltre, le versioni offerte dalle singole storiografie nazionali non fanno che rafforzare le memorie già a suo tempo divise e rimaste tali generazione dopo generazione. Sono maturi i tempi per tentare di ricostruire una panoramica complessiva delle logiche della violenza che hanno avvelenato – non solo al confine orientale – l’intero Novecento.
La vittoria maledetta, di Ahron Bregman, Einaudi, 2017.
Nella breve ma decisiva Guerra dei sei giorni del 1967, Israele, con una mossa che avrebbe modificato per sempre la mappa del Medio Oriente, ha conquistato la Cisgiordania, le Alture del Golan, la Striscia di Gaza e la Penisola del Sinai. La vittoria maledetta è la prima storia completa delle turbolente conseguenze di quella guerra: un’occupazione militare dei territori palestinesi che compie adesso cinquant’anni. Fondato su documenti tratti da fonti di alto livello finora inaccessibili, il libro offre una cronaca cruda e avvincente di come la promessa di Israele di una «occupazione leggera» rapidamente sia stata disattesa e di quali siano stati i tormentati tentativi diplomatici di concluderla. Bregman porta nuova luce sui momenti critici del processo di pace, conducendoci dietro le quinte delle decisioni che hanno determinato il destino dei Territori. Ci svela inoltre come siano state mancate opportunità cruciali di risolvere il conflitto e la fine dell’occupazione.
Questa è la storia dell’occupazione israeliana della Cisgiordania, di Gerusalemme, delle Alture del Golan, della Striscia di Gaza e della Penisola del Sinai a partire dalla schiacciante vittoria di Israele sulle forze congiunte dei suoi vicini Giordania, Siria ed Egitto nella Guerra dei sei giorni del 1967. Il Sinai fu gradualmente restituito all’Egitto tra il 1979 e il 1982, in seguito a un accordo di pace stipulato dopo la guerra, e nell’agosto 2005 Israele ritirò le proprie truppe e gli insediamenti anche dalla Striscia di Gaza. Un ritiro parziale dalla Cisgiordania è stato compiuto a piú riprese a partire dal 1993, risultato del tortuoso processo di pace di Oslo con i palestinesi. Tuttavia a oggi buona parte della Cisgiordania, la Gerusalemme Est araba e le Alture del Golan restano sotto stretto controllo israeliano. Il grande trionfo militare del 1967, apparso inizialmente come un momento benedetto nella storia di Israele, finí per rivelarsi una «vittoria maledetta». Dopo essersi appropriato di quelle terre, Israele le sottopose quasi tutte a un governo militare assicurando che avrebbe condotto un’occupazione sinceramente «illuminata». Tuttavia, come è ormai sempre piú chiaro agli occhi degli storici, un’occupazione illuminata è una contraddizione in termini; e con il passare del tempo l’occupazione di Israele si è rivelata pesantissima. Il filo rosso di questa intera vicenda storica, che potrebbe essere definito come la vera tragedia del conflitto arabo-israeliano, è l’ampia serie di opportunità per risolvere la situazione, che sono andate perdute.
Le donne furono protagoniste della Resistenza: prestando assistenza, combattendo in prima persona, rischiando la vita. Una «metà della Storia» a lungo silenziata a cui Benedetta Tobagi ridà voce e volto, a partire dalle fotografie raccolte in decine di archivi. Ne viene fuori un inedito album di famiglia della Repubblica, in cui sono rimesse al loro posto le pagine strappate, o sminuite: le pagine che vedono protagoniste le donne. La Resistenza delle donne è dedicato «A tutte le antenate»: se fosse una mappa, alla fine ci sarebbe un grosso «Voi siete qui». Insieme alle domande: E tu, ora, cosa farai? Come raccoglierai questa eredità? La storia delle donne italiane ha nella Resistenza e nell’esperienza della guerra partigiana uno dei suoi punti nodali, forse il piú importante. Benedetta Tobagi la ricostruisce facendo ricorso a tutti i suoi talenti: quello di storica, di intellettuale civile, di scrittrice. La Resistenza delle donne è prima di tutto un libro di storie, di traiettorie esistenziali, di tragedie, di speranze e rinascite, di vite. Da quella della «brava moglie» che decide di imbracciare le armi per affermare un’identità che vada oltre le etichette, alla ragazza che cerca (e trova) il riscatto da un’esistenza di miseria e violenza, da chi nell’aiuto ai combattenti vive una sorta di inedita maternità, a chi nella guerra cerca vendetta e chi invece si sente impegnata in una «guerra alla guerra», dalle studentesse che si imbarcano in una grande avventura (inclusa un’inedita libertà nel vivere il proprio corpo e a volte persino il sesso), alle lavoratrici per cui la lotta al fascismo è la naturale prosecuzione della lotta di classe. Tobagi racconta queste storie facendo parlare le fotografie che ha incontrato in decine di archivi storici. Ne viene fuori quasi un album di famiglia della Repubblica, ma in cui sono rimesse al loro posto le pagine strappate, o sminuite: le pagine che vedono protagoniste le donne. Un libro che possiede il rigore della ricostruzione storica, ma anche una straordinaria passione civile che fa muovere le vicende raccontate sullo sfondo dei problemi di oggi: qual è il ruolo delle donne, come affermare la propria identità in una società patriarcale, qual è l’intersezione tra libertà politiche, di classe e di genere, qual è il rapporto tra resistenza civile e armata, tra la scelta, o la necessità, di combattere e il desiderio di pace?
Dalla ‘prigione del popolo’ dove era stato rinchiuso dalle Brigate rosse nel 1978, Aldo Moro chiedeva di trattare per la sua liberazione, svelando che questa era una prassi abituale per i terroristi palestinesi arrestati in Italia. Da allora, per «lodo Moro» si intende l’accordo che consentiva ai palestinesi di utilizzare il territorio italiano come base per armi e guerriglieri in cambio della garanzia di preservare la penisola dagli attentati.
Il «lodo» non fu certo solo riferibile alla figura di Moro: esso coinvolse i principali esponenti della DC e del PSI (da Rumor a Taviani, da Andreotti a Craxi), alcuni magistrati e persino la Presidenza della Repubblica. Ma il «lodo» quale sicurezza garantiva? Quella legata all’incolumità dei cittadini dagli attentati o quella dello Stato, assicurando approvvigionamenti energetici in tempo di shock petrolifero e stabilità sul fronte sud del Mediterraneo? La classe dirigente italiana si trovò a fare i conti con questo dilemma in una delle fasi più difficili della storia repubblicana. Lungi dall’essere una vicenda riservata ai servizi segreti, il «lodo» fu una politica dello Stato italiano. Ed è con questo fatto storico che il nostro Paese deve fare i conti.
I giardini rosminiani di Almerico Realfonzo, Istituto campano per la storia della Resistenza “Vera Lombardi”, Libreria Dante e Descartes, Napoli, 2008.
Almerico Ralfonso, nato nel 1927, ingegnere e professore universitario, autore di numerosi testi scientifici, affida a questo libro la ricostruzione, attraverso ricordi e ricerche, dell’indimenticabile esperienza vissuta a Domodossola tra il 1943 e il 1944: gli albori della Resistenza, la vigilia della Repubblica partigiana, fino agli ultimi fuochi nella plumbea Milano verso la Liberazione.